L’interpretazione dell’interpretazione

Questo testo potrebbe contenere SPOLIER relativi al titolo di riferimento.

Ispirazione dai parchi Disney

Ron Gilbert non ha mai nascosto l’influenza dell’attrazione Disneyland “Pirati dei Caraibi” nella creazione della saga di Monkey Island. Nei giochi ricorrono infatti scene che richiamano direttamente la corsa del parco a tema, come quando in Monkey Island 2 Guybrush, per evadere dalla cella, offre un osso al cane con in bocca le chiavi: un riferimento quasi identico all’attrazione Disney.

L’ispirazione di Gilbert, però, non si limita al semplice setting piratesco o a qualche scena “ricopiata”: si estende alla stessa concezione di un parco divertimenti, luogo in cui ci si immerge in un mondo fittizio, destinato soprattutto a un pubblico giovane e quindi maggiormente disposto a credere, a lasciarsi trasportare dalla fantasia.

Analisi sugli anacronismi

Generalmente su questa saga ci si sofferma sul più palese dei quesiti, ossia qual’è il segreto di Monkey Island. Nella seguente analisi non ci concentreremo su questo ma sulla serie particolare di anacronismi “tematici”. Nei primi due capitoli della serie, The Secret of Monkey Island (1990) e Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge (1991) sono frequenti gli anacronismi e i momenti di rottura della quarta parete.

Nel primo gioco, per esempio, si trovano distributori di bevande e T-shirt come premi per il completamento delle prove da aspirante pirata, oggetti assurdi per una presunta epoca piratesca. Sorgono anche domande per esempio su come Guybrush si sia ritrovato sull’isola se questa era sotto embargo da LeChuck e nessuno poteva entrare o uscire.

É interessante anche l’uomo travestito da troll, di certo fuori contesto nel tema piratesco, decisamente contestualizzato se si considera invece l’esistenza di altre attrazioni di tutt’altra ambientazione in un parco a tema. Impossibile non citare inoltre uno dei botta e risposta tra Guybrush e gli avversari durante l’enigma dei duelli di spada. Se chiede il perché l’avversario parli così, Guybrush riceve la risposta: “Tutti i pirati parlano così, avanti Guybrush, stai al gioco”.

Tutta una serie di momenti questi, che potrebbero benissimo essere considerati come parte integrante della comicità e surrealtà del gioco. Tuttavia è con il secondo capitolo che tutti questi elementi assumono una nuova lettura e maggiore concretizzazione. Posiamo usare “la porta nel vicolo” per collegare in due giochi nella nostra analisi.

La porta nel vicolo

Nel primo capitolo la porta chiusa del vicolo che recita la scritta “Riservato al personale” può includersi nelle gag anacronistiche del titolo, tuttavia la stessa porta è presente nel secondo capitolo, dal quale addirittura usciremo, aprendola dall’interno.

Monkey Island 2, ancor più del primo capitolo, abbonda di trovate anacronistiche, come la “chiave-scimmia” (monkey wrench). È però nel finale del gioco che la concretezza irrompe in modo quasi brutale. Guybrush cade in una rete di tunnel in cemento, dotati di tubature metalliche, luci moderne e un ascensore che conduce al vicolo del primo capitolo, ora sbarrato da coni segnaletici e un nastro con la scritta “Chiuso per manutenzione”.

Scaffali colmi di souvenir (tra cui bambole), un infermeria con strumenti moderni e diversi apparecchi guasti come la macchina di grog del primo capitolo. Tutti elementi che mostrano un retroscena tutt’altro che piratesco, più affine ai passaggi riservati al personale di un grande parco.

Una serie di scene ed elementi troppo ricca ed irruenta per farli passare come anacronismi comici. Ma basta un ultimo dettaglio per chiudere il cerchio e giungere alla conclusione. Il “tesoro” di Big Whoop, si rivela infine un biglietto-E, la più alta classe di ticket dei parchi Disney, che consentiva l’accesso alle attrazioni più popolari e nuove.

La rivelazione

Il fulcro di questa riflessione ruota attorno alla teoria secondo cui i primi due Monkey Island sarebbero, in realtà, una fantasia partorita dalla mente di un bambino, o meglio, sono la reinterpretazione della realtà attraverso gli occhi di un giovanissimo Guybrush.

L’analisi punta a evidenziare la cosa sottolineando il fatto che molti elementi della storia, dal troll travestito a Mêlée Island alla porta con la scritta “Riservato al personale”, sino al tesoro di “Big Whopp” che altro non è che un biglietto per le attrazioni (quello che qualsiasi bambino vorrebbe), trovano un senso se interpretati come parte di un parco a tema. Uno spazio fatto di attrazioni e di scenari diversi, in cui i “buchi” e le assurdità rispecchiano l’immaginazione sconfinata di un bambino che gioca e rielabora il mondo reale.

Mentre nel primo capitolo l’immaginazione del bambino viene solo scalfita dalla realtà, con pochi ma ben studiati elementi anacronistici, nel secondo capitolo la realtà irrompe sempre di più nell’immaginazione fanciullesca di Guybrush, fino a sgretolare nel finale, l’intera fantasia.

In questo scenario infatti, Guybrush e Chuckie appaiono come due fratelli in fuga da genitori preoccupati, desiderosi di prolungare la loro avventura immaginaria. Nonostante però Guybrush si sforza di mantenere vivo il mondo da lui creato, i tunnel e il personale del parco che li scopre, li riportano con i piedi per terra.

L'amibiguità finale

Infine i due escono dai tunnel e si ritrovano nel parco di Big Whoop, estremamente simile alla versione immaginaria di Guybrush dell’isola. Quando i due escono, come ultimo gesto di rottura della quarta parete, Chuckie si volta verso il giocatore con gli occhi rossi simili a quelli di LeChuck.

Questa scelta – come a simboleggiare che LeChuck esiste veramente e tutto è una maledizione voodoo lanciata a Guybrush – serve per creare l’ambiguità finale e lasciare la suspance per l’arrivo del terzo capitolo, che Gilbert aveva già pianificato. Questa scelta è se vogliamo anche la conferma al giocatore che il mondo immaginario di Guybrush e Chuckie non è morto, è momentaneamente messo da parte, come quando termina per forza di cose una corsa su un’attrazione e si aspetta di risalirci per un altro giro.

Per terminare quindi, tutta l’avventura non è altro che l’interpretazione fantastica del mondo reale da parte di Guybrush, che metaforicamente è l’interpretazione del concetto di attrazione di un parco divertimenti, dove ci si dovrebbe lasciare trasportare dall’immaginazione suscitata dal setting e dalla costruzione dell’attrazione.

Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge racchiude dunque un doppio livello di lettura. Da un lato, rimane un’avventura piratesca umoristica, con rotture della quarta parete e trovate assurde; dall’altro, si rivela una metafora della creatività tipica dell’infanzia, che trasfigura un parco divertimenti in un mondo di pirati. Il finale aperto serve a tenere viva la suspence e a rimandare a un ipotetico terzo capitolo, ma lascia anche in eredità una riflessione più ampia sul modo in cui i giochi – come le attrazioni – invitano a sospendere l’incredulità e ad abbracciare la meraviglia di un universo fittizio.

Il ruolo di Elaine

Dall’analisi sopra realizzata, si è volutamente tralasciato il personaggio di Elaine. Questo perché, seguendo l’idea che l’intera avventura sia frutto della mente del giovane protagonista, ci si chiede chi sia lei, personaggio non poco importante nella narrazione.

Elaine potrebbe essere una compagna di giochi reale, una sua coetanea impegnata nella stessa “recita” immaginaria, oppure una figura del tutto inventata. Secondo alcune teorie, la ragazza rappresenterebbe un interesse amoroso conteso fra Guybrush e Chuckie anche al di fuori del “gioco”. A sostegno di questa idea si cita il fatto che Elaine resti “in attesa” dall’altro lato dei tunnel, come se non avesse ancora interrotto la fantasia condivisa con Guybrush.

Speculazioni e teorie varie

Un altro filone speculativo ipotizza che Guybrush sia in qualche modo consapevole di trovarsi in un videogioco, basandosi su alcune battute in cui fa riferimento alle istruzioni o ai comandi specifici dell’interfaccia SCUMM. Questa autoconsapevolezza potrebbe ricollegarsi all’ironia tipica della serie, dove la quarta parete viene spesso infranta per stupire e divertire il giocatore.

Tra le teorie più discusse c’è anche quella secondo cui Guybrush sarebbe un bambino adottato dalla famiglia di Chuckie. Ron Gilbert, in alcune dichiarazioni, ha definito i due personaggi “fratelli e non fratelli”, mentre nel gioco LeChuck cita un orfanotrofio, lasciando intendere che Guybrush non faccia parte della famiglia d’origine.

Questa ipotesi troverebbe ulteriore sostegno nell’idea che il terzo capitolo, come voleva progettarlo Gilbert, dovesse portare Guybrush e LeChuck in un’ambientazione assimilabile all’inferno, rappresentando il disagio del bambino adottato attraverso una metafora appunto infernale. Progetto questo che non ha mai visto la luce.

Il giocatore come “amico immaginario”

A tutte queste teorie voglio aggiungerne una mia personalissima, che riguarda il ruolo del giocatore all’interno della storia. Se Guybrush è un bambino alle prese con un trauma familiare (la morte dei genitori biologici, ipotizzabile dalla scena degli scheletri danzanti in Monkey Island 2) e un fratellastro ostile, potrebbe aver creato un amico immaginario con cui condividere il suo mondo fantastico.

In quest’ottica, noi – i giocatori – saremmo la voce nella sua testa che lo guida, cui lui si rivolge direttamente o indirettamente (ad esempio rifiutando di eseguire certe azioni e spiegandone il motivo). Ciò spiega anche il motivo per il quale noi giocatori viviamo con lui l’immaginario mondo creato e perché sul finale continuiamo a vedere Chucky con gli occhi rossi: noi, essendo parte della mente di Guybrush, continuiamo a vederlo come Guybrush lo vede, ossia dispettoso, cattivo. E’ anche il motivo per il quale smettiamo di poter interagire raggiunta la completa realtà, perché la nostra interazione con Guybrush termina nel momento in cui lui si distrae dal suo mondo.

Storia aperta a diverse interpretazioni

Tutte queste ipotesi, dall’adozione di Guybrush al suo rapporto con Elaine, arricchiscono la teoria del “parco divertimenti” sviluppata da Ron Gilbert nei primi due capitoli di Monkey Island. Ognuna offre spunti di riflessione interessanti, ma nessuna può dirsi confermata al 100%.

Il fascino di Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge risiede proprio in questa ambiguità, nella libertà di interpretare Guybrush come un semplice eroe piratesco o un bambino che “finge di esserlo” per sfuggire alle pressioni della vita reale. E forse, come ogni grande opera di fantasia, il cuore del gioco sta proprio nella nostra volontà di crederci e di farci trascinare in un’avventura che continua a generare teorie, speculazioni e meraviglia anche dopo decenni dalla sua uscita.

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