
The Witcher 2: Assassins of Kings
The Witcher 2: Assassins of Kings
Recensione
Versione testata: PC, Enhanced Edition
Pubblicato: 01/06/2025
Premessa
Dopo l’esperienza maturata con il primo capitolo e il successo di pubblico e critica, CD Projekt prosegue la saga con The Witcher 2: Assassins of Kings, un secondo capitolo che impara moltissimo dal predecessore e ne bissa parecchi difetti, sostenendosi questa volta da un motore proprietario, il RED Engine. Con una base solida dal quale partire, un motore studiato ad hoc ed una certa esperienza nello sviluppo, CD Projekt RED riesce a confezionare un prodotto più maturo e raffinato, superiore sotto molti aspetti al suo predecessore.
Comparto narrativo
Tra regicidio e intrighi politici
The Witcher 2: Assassins of Kings inizia appena due mesi dopo gli eventi del primo capitolo. Geralt di Rivia è in catene, accusato ingiustamente dell’omicidio di Re Foltest poiché unico presente sulla scena al momento dell’arrivo delle guardie. In realtà, il vero assassino è un altro witcher, riuscito a fuggire grazie agli Scoia’tael, un gruppo ribelle di non umani.
A credere nell’innocenza del protagonista c’è Vernon Roche, comandante delle forze speciali temeriane, che mosso dalla sete di giustizia per il suo sovrano, decide di aiutare Geralt nella fuga. Insieme a lui e a Triss Merigold, amante e amica del witcher, Geralt intraprende così una ricerca che ben presto supera la semplice vendetta personale, coinvolgendolo in trame politiche, tensioni razziali e nel graduale recupero di ricordi dimenticati.
Quello che appare come un semplice viaggio per ripulire il proprio nome diventa rapidamente un tuffo negli intrighi politici dei regni del Nord, con sfaccettature relative al difficile rapporto sociale tra umani e non umani che assumono, a tratti, un’importanza pari alle altre tematiche centrali.
Un mondo cupo, adulto e senza eroi
La trama del gioco abbandona la classica contrapposizione tra bene e male per concentrarsi sulla complessità morale delle scelte e sulle loro conseguenze. Domina il concetto del “male minore”, caro alle opere originali di Sapkowski, che si traduce in decisioni mai scontate e sempre sfumate. La presenza di antagonisti multipli non polarizza il conflitto, ma sottolinea le ambiguità di fazioni e personaggi, lasciando emergere gradualmente una realtà più complessa, dove le vere forze in gioco restano nell’ombra.
L’odio razziale rappresentato attraverso il conflitto tra umani e non umani, acquista progressivamente una rilevanza centrale accanto alle tematiche principali quali vendetta, amore, giustizia e guerra. Questi, insieme ad altri temi sensibili, come la violenza, i soprusi e lo sfruttamento, così come elementi più brutali come il sesso e lo stupro, sono rappresentati con maturità e uno stile raffinato, più consapevole e meno “gratuito” rispetto al predecessore, riuscendo così a creare un mondo cupo, coerente e adulto, perfettamente in linea con lo spirito dei romanzi originali.
Personaggi e dialoghi profondi
La qualità della narrazione è sostenuta da un ottimo lavoro di caratterizzazione: i personaggi principali ricevono il giusto spazio per crescere, influenzare gli eventi e rimanere impressi. Tuttavia, alcuni comprimari restano in secondo piano, sacrificati dalle esigenze della trama e dando talvolta l’impressione di essere sfruttati solo parzialmente. Nonostante ciò, l’intero cast risulta ottimamente costruito e generalmente convincente.
I dialoghi hanno compiuto un deciso salto di qualità rispetto al passato, rivelandosi più profondi e realistici. In alcune rare situazioni, però, capita che certi argomenti già affrontati ritornino come fossero nuovi o che gli interlocutori ignorino scelte precedenti, segnale di qualche imperfezione nel bilanciare scene principali e secondarie.
Ritmo serrato e narrazione ramificata
Rispetto al primo episodio, The Witcher 2 sceglie una struttura narrativa più breve e compatta, riducendo il numero di missioni secondarie e attività opzionali. Questa scelta si dimostra vincente, garantendo un ritmo serrato che mantiene costantemente alta l’attenzione del giocatore. Tant’è vero che nonostante il tema principale sia la politica, il gioco riesce a risultare incalzante e privo di momenti morti.
La narrazione ramificata rappresenta il cuore pulsante dell’esperienza: il giocatore è chiamato a schierarsi tra due fazioni, entrambe ambigue e ricche di sfumature, in una decisione che condiziona profondamente il corso della trama, le location visitate e i personaggi incontrati. Ogni percorso è completo e soddisfacente, e il gioco incentiva la rigiocabilità permettendo di scoprire nuovi retroscena e sviluppi alternativi, esclusivi di ciascun percorso.
Non mancano, però, alcune esemplificazioni e forzature narrative, specialmente in certi momenti comuni ai due percorsi, per farli combaciare con i tempi della storia. In questi frangenti, la coerenza di alcuni personaggi può sembrare sacrificata in favore del ritmo o della necessità di allineare gli eventi. Inoltre, la scelta iniziale che determina lo schieramento di Geralt non è sempre chiara o bilanciata quanto dovrebbe, spingendo talvolta verso una delle due opzioni con più forza rispetto all’altra.
Questo sequel riesce comunque a proporre un’esperienza di gioco influenzata dalle scelte del giocatore. La presenza di tre finali principali, determinati dalla scelta del percorso iniziale e da alcune decisioni cruciali nella fase conclusiva, arricchisce ulteriormente l’esperienza, con varianti aggiuntive che riflettono anche scelte secondarie fatte in momenti chiave. È anche possibile importare i salvataggi dal primo The Witcher (2007), ma l’impatto narrativo è pressoché nullo, costituendo più un omaggio che un vero e proprio fattore di continuità.
Atmosfera solida ma ambientazioni sottotono
Se da un lato il gioco propone una narrazione adulta, elegante e tematicamente audace, dall’altro perde qualcosa sul piano dell’atmosfera e delle ambientazioni. Le location spesso appaiono poco ispirate e visivamente modeste, limitando il potenziale della direzione artistica, meno incisiva rispetto alla forza espressiva della scrittura. L’atmosfera e il mood dark tipici del mondo ideato da Sapkowski restano percepibili, ma soltanto grazie alla forza della narrazione e dei personaggi, lasciando poco spazio al fascino degli scenari.
Gameplay
Controlli e HUD più pulito
Questo secondo capitolo abbandona del tutto la formula ibrida del predecessore per abbracciare unicamente la visuale in terza persona. L’HUD, ora più snello, mostra in alto a sinistra il medaglione del witcher che reagisce quando vicini a magia o nemici. Immediatamente alla sua destra si estende la barra della salute (rosso) sormontata da quella dell’esperienza (bianco), mentre sotto si mostrano i segmenti della stamina (giallo) necessari per lanciare i segni. A sinistra del medaglione compare l’indicatore di tossicità (verde) che cresce con l’assunzione di pozioni. Spostando lo sguardo in alto a destra emerge la minimappa, arricchita dall’orario e dall’obiettivo corrente, mentre in basso a sinistra una piccola icona riassume il segno e l’arma secondaria equipaggiati.
Esplorazione, dialoghi e scelte
Come il precedente capitolo, The Witcher 2:Assassins of Kings è strutturato in macro-aree interconnesse tra loro e liberamente visitabili, ma senza possibilità di saltare e con caricamenti fra un area e l’altra; La leggibilità della mappa resta un tallone d’Achille e qualche volta orientarsi richiede più tentativi del dovuto. Sono inoltre presenti sporadiche sezioni stealth, piuttosto rudimentali e poco rifinite, che interrompono l’immersione più che arricchirla, mancando di profondità meccanica e di coerenza con il DNA dell’opera.
La componente GDR risuona maggiormente nei numerosi dialoghi con gli NPC, che permettono di progredire nella trama, sbloccare contratti o semplicemente approfondire la lore di gioco. Le linee di risposta di Geralt, compaiono a schermo come sintetiche “etichette” che chiariscono tono e contenuto; a queste si aggiungono nuove manovre retoriche: ammaliare con Axii, intimidire, persuadere o corrompere con il denaro, tutte soggette a fallimento in base al livello dell’attributo corrispondente (che cresce usandolo).
Le decisioni davvero cruciali sono poche ma ben piazzate tra quelle dall’impatto relativo ed altre invece fittizie, così da dare un certo senso di libertà di scelta, sia nella trama principale che nelle quest secondarie, quest’ultime meno numerose che in passato, ma perfettamente in linea con la natura più concisa del titolo.
L’unica romance del gioco si concentra sul personaggio di Triss, lasciando solo qualche incontro occasionale con pochi altri personaggi, in una costruzione dei rapporti sentimentali più contestualizzata e definita. A tal riguardo vengono abbandonate le “famigerate” carte collezionabili del capitolo precedente, sostituite da cut-scene più mature. Le relazioni non influenzano comunque in nessun modo la trama e i dialoghi.
Sistema di combattimento
L’anima action risalta maggiormente in questo capitolo, regalando un combattimento dinamico e veloce. Abbandonati gli stili di spada ed altre armi equipaggiabili, restano la lama d’acciaio per umani e la spada d’argento per mostri. Con entrambe il giocatore può alternare colpi rapidi o potenti, in combinazione a parate, contrattacchi sbloccabili, rotolate evasive e armi ausiliarie da lancio o piazzamento (bombe, coltelli, trappole), offrendo un ventaglio tattico ampio. La vitalità si rigenera lentamente anche in battaglia, costringendo a gestire distanza e tempismo invece di abusare delle pozioni – che vanno preparate in anticipo, durante la meditazione.
Con un tasto si apre la ruota di selezione che rallenta l’azione, permettendo di selezionare al volo armi ausiliarie e segni. Questi sono le magie del witcher, 5 in totale, che tornano con un bilanciamento migliore che spinge alla sperimentazione: Igni infligge danni nel tempo, Yrden immobilizza, Quen dona uno scudo, Aard scaraventa e stordisce, Axii confonde il bersaglio rendendolo un alleato temporaneo; ciascuno necessita di un segmento di stamina per essere utilizzato, e scalano in potenza, durata e portata avanzando nell’albero delle abilità.
Il combattimento, decisamente più adrenalinico che in passato, si dimostra tuttavia poco reattivo: presenta un sistema di lock-on semi-automatico dei nemici titubante, tendendo ad “agganciarsi” al nemico sbagliato nei gruppi affollati; si aggiungono poi un leggero input-lag nei movimenti e una IA che, sebbene aggressiva, mostra la fastidiosa abitudine di attaccare a turno invece di premere coralmente sul giocatore.
Talvolta, inoltre, il gioco tende a sbagliare l’animazione corretta in relazione alla distanza del nemico dal giocatore, causando per esempio fendenti a vuoto quando il nemico è lontano (invece di eseguire una piroetta per raggiungerlo e colpirlo). Quando il nemico è stordito è possibile eseguire delle esecuzioni, ora realizzate in brevi cut-scene, aggiungono spettacolarità; Sono presenti inoltre dei QTE, in alcune boss fight e scene scriptate, abbastanza semplici ma non invadenti.
Alchimia, equipaggiamento e progressione
Al di fuori dei combattimenti, la meditazione consente di far passare il tempo, distribuire i punti talento e preparare pozioni, unguenti o bombe, a patto di possedere le ricette necessarie. Pozioni e unguenti possono essere utilizzati esclusivamente durante la meditazione, prima di affrontare uno scontro, e solo entro i limiti imposti dalla tossicità. Questa scelta di design spinge il giocatore a pianificare con attenzione, in pieno stile witcher.
Il crafting non si limita ai consumabili, ma comprende anche la creazione di equipaggiamenti. Fabbri e armaioli possono vendere oggetti, ma anche forgiarne di nuovi — spade e armature divise in torso, guanti, gambe e stivali — se si possiedono i materiali e le formule adatte. È inoltre possibile applicare rune e glifi per ottenere bonus specifici. Infine uno slot dell’inventario per un trofeo di mostro, che garantisce benefici aggiuntivi, completa il ventaglio di personalizzazione dell’equipaggiamento.
L’inventario adotta un sistema a peso anziché a slot fissi: superata la soglia massima, Geralt si muove più lentamente, spingendo il giocatore a vendere o depositare gli oggetti superflui. Il confronto tra gli oggetti è immediato nell’inventario, ma meno pratico quando si acquistano articoli presso mercanti o artigiani. Alle spade, armi ausiliarie e armature nell’inventario, si aggiungono materiali, mutageni, ingredienti e ricette utili per il crafting o la progressione del personaggio.
Anche la gestione dei talenti avviene tramite il menu di meditazione. L’albero delle abilità si apre con un ramo generico, per poi suddividersi in tre percorsi distinti: spade, segni e alchimia. Ogni nodo richiede un punto talento, ottenuto a ogni passaggio di livello, e molte abilità possono essere potenziate più volte. Alcune di esse permettono inoltre l’innesto di mutageni, che ne amplificano l’effetto. Sebbene la disposizione di certi talenti e il loro peso sul gameplay non sono sempre equilibrati, il sistema risulta più chiaro e personalizzabile rispetto al passato, offrendo sufficiente flessibilità per adattarsi a stili di gioco diversi.
Comparto tecnico
Un motore tutto nuovo
Con The Witcher 2: Assassins of Kings CD Projekt abbandona l’Aurora Engine in favore del RED Engine, motore proprietario capace di spingere il conteggio poligonale di personaggi e oggetti ben oltre quanto visto nel primo episodio. Il risultato, a colpo d’occhio, è una scena ricca di dettagli geometrici e volti secondari quasi al livello di quelli dei protagonisti.
Tale abbondanza, però, non è priva di conseguenze: la distanza di visualizzazione piuttosto corta causa un costante effetto pop-up su superfici e oggetti, mentre un launcher spartano e un menù grafico ridotto all’osso non aiutano l’utente a trovare il compromesso ideale fra qualità e prestazioni. Permane inoltre una gestione inefficiente dei salvataggi: quelli rapidi e automatici non sovrascrivono i file esistenti, ma ne creano sempre di nuovi, saturando lo spazio disponibile nel sistema.
Iluminazione e resa complessiva
Il RED Engine gestisce quasi tutta l’illuminazione in maniera dinamica, ma la scelta di filtrare le ombre con un marcato “dithering” ne abbassa vistosamente la risoluzione, creando bordi talvolta troppo frastagliati. A questo si sommano un effetto bloom eccessivo, che sovraespone le superfici e gli scenari, ed una calibrazione dei colori e della saturazione esagerati, che rendono innaturali certe scene. Gli interni, illuminati con luci statiche, soffrono meno di queste esagerazioni, ma la scarsa profondità cromatica resta evidente nei contrasti più forti.
Modellazione ed animazioni
Quando la telecamera stringe su un primo piano la complessità dei modelli e la definizione delle texture – raramente di bassa qualità – fanno davvero la differenza, ostentando un’eccellente accuratezza geometrica degli oggetti ed un ottima rappresentazione dei personaggi. Ottimi anche gli effetti particellari e le animazioni.
Le animazioni in particolare, sia corporee sia facciali, risultano varie e convincenti, sostenute da una direzione cinematografica più ambiziosa: tagli, zoom e transizioni accompagnano i dialoghi con puntualità scenica. Solo in rari casi si nota la ricomparsa di un volto già visto o l’incoerenza di un’espressione, ma l’impatto complessivo resta ben sopra la media del tempo.
Location, IA e comparto sonoro
Il passo in avanti tecnico non va di pari passo con l’ispirazione artistica dei luoghi che, pur fittamente dettagliati, mancano di quel colpo d’occhio capace di stampare la scena nella memoria, con una varietà complessiva delle ambientazioni inferiore a quella del predecessore.
L’IA in gioco riprende alcuni asset del precedente titolo, come le routine degli NPC in base all’orario e alcune feature come ripararsi quando piove o i bambini che seguono il giocatore. Tuttavia, in combattimento l’intelligenza artificiale tende ancora ad “aspettare il turno” per attaccare, aggiungendo occasionali blocchi di path-finding.
Sul versante audio, invece, non si registrano incertezze: doppiaggio convincente, missaggio pulito e una colonna sonora che fonde folk slavo ed epica drammatica senza rinunciare a un’evoluzione rispetto al precedente capitolo.
• Standard
Gioco base;
• Premium Edition
Gioco base, colonna sonora, video ‘Making of’, mappa, pamphlet e monete, papercraft dolls, contenuti bonus (differenti in base al paese di distribuzione);
• Collector’s Edition
Gioco base, colonna sonora, Artbook, 1 Oren di Temeria, stickers, video ‘Making of’, mappa, pamphlet e monete, busto in resina di Geralt, papercraft dolls, set di dadi, carte da gioco, contenuti bonus (differenti in base al paese di distribuzione);
• Collector’s Edition
Gioco base, tutti i bonus e DLCs, nuove missioni, nuove cutscenes;
• Il male minore
Titolo del racconto di Sapkowski e filosofia dietro le gesta del personaggio di Geralt, che scaturisce qui in una riflessione sulla giustificazione dei mezzi per raggiungere l’obiettivo e sull’etica di Spinoza.
Ultimi articoli
The Witcher 2: Assassins of Kings riesce nel tentativo di trasformare le promesse (e le ingenuità) del primo episodio in un’esperienza più matura, densa e coerente. Sul piano narrativo abbraccia senza remore l’ambiguità morale dei romanzi: politica, razzismo, guerra e desiderio si intrecciano in dialoghi taglienti, sostenuti da personaggi ben cesellati e da una atmosfera folkloristica slava che trasuda autenticità, anche se la buona direzione artistica regala scenari ricchi di dettagli ma poco ispirati, omologando l’estro estetico delle ambientazioni. Il gameplay gode di un rinnovato bilanciamento nelle dotazioni e nelle abilità, che accompagnano un combat system più rapido e profondo, arricchito da un sistema di crafting che rende armi, rune e pozioni parte di una preparazione da vero witcher. Restano però un targeting capriccioso, un lieve delay negli input e un’IA che fatica a fare gioco di squadra. L’albero delle abilità offre specializzazioni interessanti, sebbene non perfettamente bilanciate. In ambito tecnico il RED Engine sorprende per complessità poligonale, modelli e animazioni. Tuttavia ombre zigrinate, bloom invadente, pop-up frequente e sistema di salvataggi ingordo, tradiscono il lato acerbo della tecnologia. L’impeccabile comparto audio e una regia dal taglio cinematografico compensano però queste sbavature, restituendo un impatto audiovisivo notevole. Questo secondo capitolo lima quasi ogni asperità del predecessore e ne amplia l’ambizione, offrendo scelte dal peso reale e aree dense di opportunità, pur sacrificando il senso di vastità a favore del ritmo. Un capitolo imperfetto, sì, ma che brilla per personalità e audacia, affondando la lama nei dubbi morali del giocatore, e una volta partiti i titoli di coda, quel taglio brucia ancora.
The Witcher 2: Assassins of Kings mi ha sorpreso in positivo. Mescola un sistema di combattimento agile, ravvivato da segni e armi ausiliarie, con un set di meccaniche ruolistiche abbastanza profondo da spingermi a sperimentare armi, rune e pozioni prima di ogni scontro. Nel cuore, però, resta la storia – un intreccio di scelte che raramente offrono una “risposta giusta”, costringendo a valutare, di volta in volta, quale sia il male minore. Il gioco non sfoggia chissà quali intrighi politici né personaggi memorabili, eppure ipnotizza grazie all’atmosfera cupa e alla reale portata delle conseguenze, insieme ai percorsi alternativi che cambiano missioni, volti e perfino l’equipaggiamento, lasciandoti la sensazione di modellare davvero la partita. Non tutto, ovviamente, brilla allo stesso modo. I segni restano utili, ma veder Aard ridursi a una piccola onda d’urto, anziché al colpo cinetico a ventaglio del primo capitolo, mi lascia un certo amaro in bocca; Peccato inoltre per un esplorazione relativamente piatta e guidata, con poche quest secondarie, anche se compensano con qualità e ritmo serrato. Sul fronte tecnico, mentre ho apprezzato la qualità grafica complessiva e la colonna sonora (personalmente però inferiore a quella del primo capitolo), non ho potuto davvero sopportare l’eccesivo bloom, che costringe a scegliere fra scenari abbaglianti o ambienti spenti, per non parlare dell’ostinazione di CD Projekt nel lasciare un sistema di salvataggi ce divora spazio su disco. Difetti che tuttavia non oscurano il mio quadro d’insieme: il titolo non eccelle in un singolo aspetto, ma si mantiene solido in tutti, e la somma delle sue parti — un combat system coinvolgente, scelte morali credibili e un’atmosfera granitica — supera di gran lunga le sue rugosità. Mi sono divertito a menar fendenti, ma ancor più a pesare ogni decisione: prova che, quando l’opera è coesa, “buono in tutto” vale più di “eccellente a metà”.