Recensione
Versione testata: PC, Standard Edition
Pubblicato: 28/02/2025
Premessa
Escape from Monkey Island è l’ultimo capitolo della saga Monkey Island sviluppato e pubblicato da LucasArts ed anche l’ultima avventura grafica della compagnia. Rilasciato a 3 anni dal terzo capitolo, non utilizza più lo SCUMM engine ma il GrimE, portando, per la prima volta nella serie, ambienti e personaggi 3D oltre che discostarsi dal classico approccio punta e clicca.
Comparto narrativo
Ritorno a Melee Island
In Escape from Monkey Island, Guybrush Threepwood ed Elaine Marley fanno ritorno dalla luna di miele a Melee Island, dove scoprono che la governatrice è stata data per morta. Con Elaine ufficialmente “scomparsa”, l’isola ha bisogno di un nuovo governatore: Charles L. Charles si candida per la carica, costringendo Elaine a entrare in competizione elettorale per riconquistare il suo posto.
Nel frattempo, Guybrush cerca di aiutarla nella campagna e di sventare il piano di un magnate australiano che, lentamente, sta trasformando i Caraibi in mere attrazioni turistiche, allontanando i pirati e cancellando lo spirito avventuroso della regione.
Un umorismo sottotono
La storia cerca di presentare temi più complessi e apparentemente drammatici rispetto ai capitoli precedenti, ma le nuove ambientazioni e i personaggi che le popolano non riescono a emergere con il carisma che ci si aspetterebbe da un titolo della serie.
L’umorismo, da sempre cuore delle avventure di Guybrush, risulta talvolta banale e poco ispirato, illuminando soltanto a sprazzi la narrazione con qualche battuta o situazione azzeccata. Guybrush resta il motore principale di queste scene divertenti, relegando i comprimari a ruoli spesso poco incisivi.
Ambientazioni e sviluppo piatti
Le location, pur cercando di apparire variegate, risultano vaste ma poco dettagliate, trasmettendo un senso di vuoto che può sfociare in ripetitività. Anche l’evoluzione della trama, benché mostri una vena più “seria” nell’intreccio, fatica a mantenere viva l’attenzione, appoggiandosi quasi interamente sull’umorismo intermittente del protagonista. La magia che caratterizzava le precedenti avventure si avverte soltanto in momenti isolati, con Guybrush a reggere da solo le redini di un racconto che non riesce a dare il giusto risalto ai personaggi secondari.
Gameplay
Controlli e telecamere fisse
Con Escape from Monkey Island, la serie abbandona il classico sistema punta-e-clicca a favore di un approccio più vicino ai tank control, con ambienti a telecamera fissa. Al posto dell’indicatore, il giocatore controlla direttamente i movimenti di Guybrush, che si avvicina agli oggetti per innescare l’interazione. Non appena viene rilevato qualcosa di utilizzabile, compare in basso sullo schermo un elenco di possibili azioni, e lo sguardo di Guybrush si focalizza sull’elemento più vicino per facilitarne l’individuazione.
Macchinosità e inventario
La combinazione tra movimenti tank control e la comparsa quasi “ingombrante” delle opzioni di interazione, anche per oggetti poco rilevanti, restituisce un primo approccio ostico, nonché una generale manifestazione di macchinosità dell’intero gameplay, soprattutto per chi era abituato al sistema più intuitivo dei primi capitoli. Gli enigmi continuano a basarsi sull’utilizzo di oggetti: tramite la pressione di un tasto si accede a una ruota dell’inventario, da cui è possibile selezionare, combinare o usare gli elementi per risolvere i vari puzzle.
Enigmi tra alti e bassi
Gli enigmi alternano trovate creative, tipiche dell’umorismo della saga, ad altri più discutibili per logica o comicità, sfiorando talvolta il ridicolo. Come da tradizione, non esiste un vero “game over” e le scene di dialogo possono rivelarsi essenziali per sbloccare eventi o per l’avanzamento della storia, aggiungendo qua e là momenti di comicità che, in alcuni casi, faticano a mantenere la verve dei precedenti episodi.
Comparto tecnico
Motore GrimE
In Escape from Monkey Island, la serie adotta il motore GrimE, originariamente sviluppato per Grim Fandango (1998), introducendo modelli tridimensionali per ambienti e personaggi, sebbene alcuni elementi dello scenario restino disegnati a mano. Lo stile cerca un approccio più realistico, richiamando i primi capitoli, ma la resa generale – pur curata – risulta spesso poco dettagliata. L’idea di dare vivacità ai luoghi con alcuni NPC che si muovono indipendentemente è apprezzabile, anche se limitata a pochi personaggi, offrendo solo in parte la sensazione di un ambiente realmente popolato.
Colonna sonora e doppiaggio
La soundtrack firmata da Clint Bajakian, pur adattandosi alle varie situazioni, manca di mordente e originalità, non incidendo particolarmente sull’atmosfera di gioco. Di contro, il doppiaggio italiano si rivela una gradita sorpresa: la voce di Massimo Antonio Rossi nei panni di Guybrush regala un’interpretazione più che convincente, sollevando la qualità complessiva della produzione e compensando, almeno in parte, l’anonima colonna sonora.
• Standard
Gioco base;
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Escape from Monkey Island risulta un’esperienza incolore e poco incisiva, che si salva dalla mediocrità solo grazie a pochi elementi ben riusciti. Da un lato, la trama promette di essere complessa e intrigante, ma le manca il supporto di comprimari validi e dialoghi brillanti: l’umorismo tipico della saga finisce quasi interamente sulle spalle di Guybrush, mentre il resto del cast rimane in ombra. Sul fronte del gameplay, l’adozione dei nuovi controlli si rivela macchinosa, e gli enigmi raramente raggiungono le vette di ingegno dei capitoli precedenti. Nonostante una componente tecnica nel complesso buona e un valido doppiaggio italiano, l’aspetto artistico e la colonna sonora appaiono poco ispirati e faticano a imprimersi nella memoria. Il risultato è un titolo realizzato con discreta perizia ma povero di slancio creativo, difficilmente all’altezza delle precedenti avventure grafiche targate LucasArts.
Ho faticato non poco a farmelo piacere, finendo per restare quasi del tutto indifferente alla storia, che pareva promettere chissà quale evoluzione, ma si è rivelata povera di spirito. A parte qualche guizzo qua e là, Guybrush è l’unico che riesce a conservare un minimo di comicità, mentre i personaggi di contorno e le situazioni che li riguardano mi sono sembrati spenti e dimenticabili. Devo ammettere che l’interfaccia di gioco mi ha esasperato: ho sempre avvertito la presenza invadente delle azioni a schermo, tanto che anche spostarsi di poco cambiava completamente le opzioni disponibili, rallentando e confondendo il flusso dell’avventura. Neppure gli enigmi sono riusciti a coinvolgermi: quasi tutti mi hanno dato l’idea di essere poco ispirati, talvolta addirittura ridicoli. Il famigerato “combattimento con le scimmie” poi, a mio parere, è la goccia che fa traboccare il vaso, uno scivolone di stile che ha azzerato quel poco di fascino rimasto. Per quanto la parte tecnica sia in linea con i tempi di uscita, manca completamente il fascino che contraddistingueva i titoli precedenti: scenari monotoni, musiche corrette ma prive di estro, e uno stile complessivo che fatica a lasciare il segno. Personalmente mi ha lasciato un senso di vuoto e delusione: tecnicamente regge, ma non mi ha trasmesso nulla di memorabile finendo presto tra i ricordi meno brillanti della saga.