
Return to Monkey Island
Return to Monkey Island

Recensione
Versione testata: PC, Standard Edition
Pubblicato: 03/03/2025
Premessa
Attraverso la collaborazione tra Lucasfilm Games e Devolver Digital, Ron Gilbert torna al lavoro sulla saga con il suo studio Terrible Toybox. Porta così alla luce un titolo che si ricollega in qualche modo a tutti i capitoli della saga, ma che possiede un legame decisamente più profondo con i primi due capitoli, rimarcando la consapevolezza che questa é la visione conclusiva della saga iniziata nel 1990, focalizzata sul fine ultimo della saga: il segreto di Monkey Island.
Comparto narrativo
Un racconto fuori dal tempo
Return to Monkey Island non si colloca in modo netto all’interno della timeline tradizionale della saga. Il giocatore, infatti, può scegliere di ripercorrere i capitoli precedenti grazie a un’opzione nel menu iniziale, dove Guybrush Threepwood stesso narra brevi resoconti di quelle avventure passate, presentate come storie a sé stanti. In questa nuova avventura dove Guybrush veste sempre i panni del narratore, ci accompagna nel suo tentativo di scoprire, una volta per tutte, il misterioso segreto di Monkey Island.
La storia prende avvio con Guybrush che torna a Melee Island per mettere insieme una spedizione e raggiungere Monkey Island. Il problema è che, a sua insaputa, anche la sua nemesi, LeChuck, sta organizzando un equipaggio con lo stesso obiettivo. Recatosi allo Scumm Bar, Guybrush non trova i vecchi capi dei pirati, bensì tre individui ostili che si definiscono i nuovi leader, rifiutandosi di finanziare la spedizione.
Non resta che seguire l’unica strada percorribile: entrare a far parte della spedizione di LeChuck, che sta già finendo i preparativi. Guybrush é dunque costretto a trovare un modo per imbarcarsi con il suo acerrimo nemico, e raggiungere così la leggendaria isola.
Uno stile inconfondibile
Fin dalle prime battute, la mano di Ron Gilbert e Dave Grossman si riconosce nell’umorismo tagliente e nell’attenzione ai dettagli, proprio come nei primi capitoli della serie. Non manca una schiera di personaggi ben tratteggiati, che si rivelano fondamentali sia per accompagnare Guybrush sia per alleggerire la tensione con i loro siparietti comici. Il tono generale è semplice e coinvolgente, a tratti nostalgico, soprattutto per i veterani della saga, che troveranno diverse citazioni e riferimenti ai vecchi episodi.
Return to Monkey Island attinge molto dal passato, riportando in scena vecchi volti e location storiche, ma introduce anche luoghi inediti e nuovi comprimari, perfettamente integrati nell’atmosfera scanzonata e piratesca del franchise. Questa forte vena nostalgica, per quanto affascinante, rischia di lasciar fuori chi si avvicina alla saga per la prima volta: molti riferimenti richiamano infatti episodi precedenti, rendendo più difficile cogliere pienamente il significato di alcuni eventi e, soprattutto, del finale.
Crescita e cambiamento
L’aspetto forse più interessante dell’intera avventura è il suo riflettere sull’evoluzione dei creatori e del pubblico. Ron Gilbert, dopo aver lasciato la serie dopo il secondo capitolo, torna per raccontare una storia che è anche un invito ad accettare la fine dell’illusione e a superare la visione idealizzata della saga.
Il concetto di “crescita” è il fulcro narrativo: Guybrush (e chi lo segue fin dagli esordi) affronta, con un pizzico di malinconia, la necessità di andare avanti. Questo culmina in un finale dai toni anticlimatici, destinato a dividere: chi non è pronto a rinunciare alla magia passata potrebbe trovarlo deludente, mentre altri lo vedranno come un sincero tributo alla maturità personale.
Un finale per pochi (o per tutti?)
La conclusione presenta due possibili esiti, ognuno con diverse varianti, ma è soprattutto la sua natura simbolica a contare. Return to Monkey Island, in questo senso, non teme di sorprendere, enfatizzando la doppia anima del gioco: un omaggio nostalgico ai fan di lunga data e, al contempo, un’opera di rottura che rivela la volontà di raccontare il cambiamento.
È proprio in questa scelta di campo che il titolo trova la sua forza e, forse, il suo limite: solo chi conosce i primi due capitoli e il retroterra emotivo della serie potrà apprezzarlo appieno, assaporandone tutte le sfumature e riconoscendolo come un tassello essenziale nella storia di Monkey Island.
Gameplay
Classico ma moderno
Return to Monkey Island ripropone la formula dei primi capitoli della serie, puntando su un’impostazione pura di tipo “punta e clicca”. Sullo schermo si nota subito l’assenza di un’interfaccia invasiva: in alto a destra si trova l’icona per aprire il menu delle opzioni, mentre in basso a sinistra è presente il pulsante per accedere all’inventario. I comandi da tastiera si limitano a funzioni accessorie come saltare i dialoghi, evidenziare i punti cliccabili e aprire rapidamente menu e inventario.
Come da tradizione per la saga, non è possibile andare incontro a un “game over”, poiché l’avventura si focalizza sull’umorismo e sulla risoluzione di enigmi mediante il classico metodo del “trial and error”. Per venire incontro sia ai veterani sia ai neofiti, sono previste due modalità di difficoltà: una normale e una semplificata.
Esplorazione ed interazione
Per spostare Guybrush all’interno delle schermate è sufficiente puntare il cursore nel punto desiderato e cliccare; l’unica piccola pecca è la rapidità con cui il personaggio si muove, fin troppo elevata. Gli elementi con cui si può interagire sono evidenziati da una breve descrizione che ne indica la funzione o il pensiero di Guybrush al riguardo. Spesso, cliccando con il tasto destro si ottiene un’osservazione o un commento, mentre con il tasto sinistro si compie l’azione vera e propria. Nell’inventario, oltre a controllare gli oggetti raccolti, è possibile combinarli tra loro per crearne di nuovi.
Le varie aree di Melee Island (e non solo) si raggiungono spostandosi tra schermate collegate oppure consultando la mappa generale, che mostra la posizione attuale di Guybrush e le diverse zone disponibili. Non tutte le location, tuttavia, risultano effettivamente utili per risolvere enigmi: alcune non sono esplorabili nonostante compaiano sulla mappa, mentre altre – pur visitabili – non contengono oggetti o situazioni rilevanti, rivelandosi semplici “riempitivi” dell’isola. Anche la navigazione via mare offre accesso ad altri luoghi, inclusi alcuni in mare aperto, ampliando così il ventaglio di scenari da visitare.
Enigmi e grado di sfida
Il cuore del gameplay risiede negli enigmi, che si mantengono su una qualità soddisfacente e ricordano, per struttura, quelli dei primi titoli della serie. Rispetto al passato, risultano però leggermente meno originali e con una difficoltà mediamente più bassa, pur richiedendo ancora una certa dose di pensiero laterale per essere risolti.
L’umorismo tipico di Monkey Island permane in ogni rompicapo, rendendo il processo di sperimentazione divertente più che frustrante. Alcuni enigmi presentano inoltre elementi generati casualmente, variando la soluzione da una partita all’altra. Per i momenti di empasse, esiste un sistema di indizi integrato che fornisce suggerimenti sui passi necessari a progredire.
Contenuti extra e collezionabili
A ravvivare l’esplorazione si aggiunge la presenza di carte quiz collezionabili, sparse nelle diverse aree di gioco. Ognuna propone una domanda a risposta multipla legata all’universo di Monkey Island, regalando agli appassionati un ulteriore motivo per curiosare in ogni angolo e, al tempo stesso, un divertente extra per i giocatori che desiderano approfondire le curiosità della saga.
Comparto tecnico
Un motore proprietario per uno stile fiabesco
Return to Monkey Island è realizzato con il “Dinky Engine”, un motore proprietario creato da Ron Gilbert e dal suo team. Questa soluzione, leggera ma versatile, consente animazioni fluide e una gestione dinamica delle inquadrature, aggiungendo movimento e vitalità alle scene.
L’estetica del gioco strizza l’occhio ai libri illustrati o agli album dei ricordi, una scelta in linea con lo spirito narrativo dell’avventura. Il risultato è un impatto visivo che, pur nella sua semplicità, risulta curato: le animazioni dei personaggi danno un buon senso di dinamicità, anche se talvolta ne risente un po’ l’espressività dei volti.
Adattamento integrato
A supporto di questo stile fiabesco, si trovano dettagli tecnici ben implementati: insegne, scritte e cartelli all’interno del gioco vengono tradotti, contribuendo all’immersione. L’adattamento in lingua nostrana, inoltre, è di ottimo livello e include varie impostazioni personalizzabili, come la dimensione dei sottotitoli e la presenza o meno delle voci. È anche possibile sbloccare contenuti extra dedicati ai fan di lunga data. L’unica limitazione è la mancanza di un menu per rimappare i controlli da tastiera, una piccola pecca nel ventaglio di opzioni altrimenti piuttosto completo.
Audio di qualità e doppiaggio di ritorno
Il comparto sonoro spicca grazie alla colonna sonora firmata nuovamente da Michael Land, che coniuga sapientemente nostalgia e innovazione. Dominic Armato torna a dare voce a Guybrush Threepwood, affiancato da altri doppiatori storici che riprendono i rispettivi ruoli. L’interpretazione risulta complessivamente solida, regalando momenti divertenti e omaggi ai fan di vecchia data, ma anche offrendo a chi si avvicina per la prima volta alla saga un coinvolgimento adeguato all’atmosfera scanzonata del gioco.
• Standard
Gioco base;
• CollectARR’s Edition
Gioco base, Collector’s Edition Box, colonna sonora originale, USB stile Floppy Disk contenente il gioco, opuscolo di arruolamento di LeChuck, lettera da Ron gilbert e Dave Grossman, album con ritagli, palla antistress a forma di pesce palla, spilla esca dei ‘Compari’, chiave dorata collezionabile(cambia in base alla piattaforma per il quale l’edizione é presa), poster, libretto;
• La terapeutica chiusura di un parco
Gli sviluppatori sfruttano il nuovo titolo della saga non solo per regalare l’ennesima avventura di Guybrush, ma per fornire, al giocatore e a loro stessi, lo strumento terapeutico per affrontare e finalmente lasciarsi alle spalle il passato, chiudendo un capitolo rimasto incompleto troppo a lungo.
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Return to Monkey Island rappresenta il felice ritorno di Ron Gilbert e di gran parte del team originario, che ancora una volta riesce a imbastire un’avventura capace di colpire fin dal primo sguardo. L’impianto narrativo, pur nella sua apparente semplicità, nasconde una riflessione più ampia sulla crescita personale degli autori e sull’eredità lasciata dal franchise, rivelandosi un omaggio sentito ai vecchi fan e una sorta di congedo nostalgico. Sul piano del gameplay, la formula punta e clicca rispetta lo stile classico della serie, con enigmi di buona qualità e un livello di difficoltà pensato per restare accessibile, seppure con qualche limitazione derivante dall’adattamento di meccaniche retrò. Il comparto tecnico, semplice ma di carattere, si sposa perfettamente con l’atmosfera “fiabesca” dell’opera, ulteriormente valorizzata da una colonna sonora eccellente e da un cast di doppiatori storici che ritornano con passione. Tutto ciò mette in secondo piano i limiti del titolo: la breve longevità, un umorismo forse meno audace rispetto al passato e un finale dal sapore anticlimatico rischiano, infatti, di lasciare un po’ spiazzati coloro che si avvicinano alla saga per la prima volta. Tuttavia, il titolo riesce nell’intento di riportare i giocatori di lungo corso allo stato di fanciulli, invitandoli ad accettare il passare del tempo e la necessità di andare avanti, senza dimenticare le radici di un’avventura che ha segnato la storia dei giochi d’avventura.
Sin dai primi minuti ho adorato l’estetica da libro illustrato, così come l’ottimo lavoro sulle musiche e i personaggi, senza dimenticare il valore concettuale dietro il finale. Eppure, mentre giocavo, mi è rimasta addosso una sensazione di vuoto: la durata è brevissima e ho avuto l’impressione che manchino pezzi di gioco, come se diverse idee fossero state tagliate in fase di sviluppo, lasciando alcune aree esplorabili ma prive di reale utilità. Personalmente, sono mancati quell’umorismo e ironia più dirompenti di Monkey Island, nonchè una maggiore spinta sulla rottura della quarta parete. In Return to Monkey Island, si avverte invece un’atmosfera più riflessiva, forse più matura, ma al contempo meno esplosiva, che non mi ha mai davvero conquistato. Certo, il fascino generale resta alto e il gioco ha una sua dignità artistica ben definita, ma sarei ipocrita a non ammettere di esserne uscito con un po’ di delusione, come se il titolo non avesse espresso del tutto il suo potenziale.