Cover The Curse of Monkey Island

The Curse of Monkey Island

31 Ottobre 1997
Genere
Sottogenere
Piattaforme

PC

Sviluppatore
Editore
Franchise

The Curse of Monkey Island

31 Ottobre 1997
Cover The Curse of Monkey Island
Genere
Sottogenere
Piattaforme

PC

Voto

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Sviluppatore

Editore

Franchise

Recensione

Versione testata: PC, Standard Edition
Pubblicato: 28/02/2025
Premessa

A sei anni dal secondo capitolo, senza più Ron Gilbert alla guida del progetto, Lucas Arts rilascia The Curse of Monkey Island, terzo capitolo della saga, che vede diversi cambiamenti nello stile grafico e nel gameplay, cercando comunque di rimanere ancorato alla classico umorismo a cui la serie aveva abituato.

Comparto narrativo

L’inizio dell’avventura: dalla fuga al nuovo assedio

Ne The Curse of Monkey Island, ritroviamo Guybrush Threepwood alla deriva su un’autoscontro, ancora confuso su come sia riuscito a evadere dal parco di Big Whoop. Poco dopo, si rende conto di essere approdato a Plunder Island, messa a ferro e fuoco dal suo arcinemico LeChuck e difesa strenuamente dall’amata Elaine.

Dopo aver aiutato a respingere il pirata zombie-fantasma, Guybrush decide di coronare il momento con una proposta di matrimonio, ignaro che l’anello donato a Elaine sia maledetto e la trasformi in una statua d’oro massiccio. Ha così inizio l’odissea per spezzare la terribile maledizione.

Volti nuovi e ritorni eccellenti

Oltre ai personaggi principali già noti, questo terzo capitolo introduce un nutrito gruppo di comprimari inediti. Alcuni di loro spiccano per caratterizzazione e verve comica, monopolizzando spesso la scena con battute e situazioni memorabili. Altri fanno apparizioni più brevi ma, seppur con poco minutaggio, contribuiscono a dare forma a un mondo ancora più vivace e colorato. Nel complesso, è un viaggio caratterizzato da personaggi eccentrici e dall’umorismo scanzonato che ha reso la serie famosa.

Semplicità e comicità

La trama segue linee più semplici rispetto al secondo capitolo, un aspetto che accentua la comicità tipica della saga. Se da un lato questa leggerezza rende la storia estremamente godibile e facile da seguire, dall’altro si avverte una minore varietà e articolazione narrativa rispetto a Monkey Island 2: LeChuck Revenge (1991).

Ciononostante, il gioco riesce a intrattenere grazie a un protagonista goffo ma simpaticissimo, circondato da situazioni imprevedibili che sfociano sempre nell’ironia. Anche le location, non particolarmente cupe come in passato, sprigionano un’atmosfera spensierata che accompagna coerentemente gli scambi di battute, esaltando la vena burlesca dei vari personaggi.

Gameplay

Una nuova interfaccia punta e clicca

Con The Curse of Monkey Island, la LucasArts propone l’ultima evoluzione del motore SCUMM, profondamente rivisto. Al posto della classica barra dei verbi, il gioco presenta una schermata a tutto schermo e un sistema di controllo ispirato a quello di Full Throttle (1995): facendo clic con il tasto destro del mouse si richiama una moneta (verb-coin) divisa in tre icone – una mano, un teschio e un pappagallo – che corrispondono, rispettivamente, a interazioni manuali, osservazioni e azioni vocali. L’inventario si apre con un tasto dedicato, occupando tutto lo schermo e risultando un po’ ingombrante, ma semplificando la combinazione e l’uso degli oggetti per la risoluzione degli enigmi.

Enigmi e livelli di difficoltà

Gli enigmi conservano lo spirito e la comicità tipici della serie, sebbene alcuni concept siano ripresi dai titoli precedenti. È possibile scegliere fra due livelli di difficoltà all’avvio della partita, riducendo – o eliminando del tutto – alcune sezioni di rompicapi per chi preferisce un’esperienza più snella. Come da tradizione, non è mai possibile andare incontro a situazioni di “game over” o di blocco irreversibile: si può sperimentare in tutta libertà, senza temere di dover ricominciare o ricaricare i salvataggi.

Battaglie navali opzionali

Una novità per la saga è rappresentata dai combattimenti tra navi, attivabili ogni volta che ci si avvicina a un’imbarcazione nemica. Il meccanismo è piuttosto semplice: si manovra la nave attraverso il puntatore e si fa fuoco sui nemici con un clic, offrendo un diversivo utile a variare il ritmo di gioco. Tuttavia, tali scontri risultano opzionali e si possono evitare se si preferisce concentrarsi sugli enigmi e sulla progressione della storia.

Comparto tecnico

Una nuova veste grafica in stile cartoon

The Curse of Monkey Island segna un deciso cambiamento visivo rispetto ai precedenti episodi. Gli sviluppatori hanno optato per un’estetica cartoonesca simile ai classici Disney, con sfondi disegnati a mano e colori vivaci che donano un tocco caricaturale a personaggi e ambientazioni.

Se da un lato questo stile contribuisce a rendere ogni luogo più dettagliato e riconoscibile, dall’altro le animazioni dei personaggi non risultano sempre all’altezza di produzioni coeve, evidenziando talvolta una fluidità imperfetta. Le cutscene pre-renderizzate, invece, si presentano ben realizzate e fluide, sebbene il passaggio da filmato a gameplay – o viceversa – appaia fin troppo brusco.

Audio e doppiaggio

Sul fronte sonoro, Michael Land torna ad arricchire l’esperienza con brani che riprendono il tema originale, adattandolo a un’atmosfera meno cupa. La grande novità è il doppiaggio, introdotto per la prima volta nella serie: Dominic Armato (Guybrush), Alexandra Boyd (Elaine) ed Earl Boen (LeChuck) danno vita ai protagonisti, offrendo interpretazioni tanto convincenti da diventare le voci ufficiali nei successivi capitoli.

Anche la localizzazione italiana fa la sua comparsa, presentando qualche errore di traduzione. Il doppiaggio italiano, per gran parte dei personaggi, si difende bene, con alcune performance decisamente riuscite, come quella di Pier Luigi Zollo su LeChuck. Guybrush, affidato a Giuseppe Calvetti, si rivela complessivamente buono, pur con qualche lieve imperfezione.

• Standard
Gioco base;

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Conclusione

The Curse of Monkey Island si presenta come un capitolo che prende le distanze dagli episodi precedenti, pur conservandone il DNA comico. Il passaggio a uno stile grafico cartoon dai colori vivaci e il sistema di controllo semplificato segnano la novità più evidente, mentre l’umorismo, l’impronta narrativa leggera e il gameplay privo di frustrazioni restano saldamente al centro dell’esperienza. Non mancano alcune pecche, come una trama tutto sommato basilare, qualche enigma riciclato e animazioni non sempre fluide. Tuttavia, il gioco riesce comunque a brillare nei suoi punti di forza, distinguendosi all’interno della saga per la sua freschezza stilistica e per la capacità di far divertire senza mai prendersi troppo sul serio.

La mia esperienza con The Curse of Monkey Island è stata influenzata da vari elementi. Da un lato ho avvertito la storia come un semplice pretesto per dare il via a una serie di gag, senza catturarmi davvero. Stessa sensazione per la maggior parte dei personaggi: pochi mi hanno trasmesso un vero coinvolgimento comico o empatia, e in particolare Elaine rimane troppo marginale. Anche le ambientazioni, per quanto ben disegnate, non mi hanno colpito granché, a eccezione della prima città, forse l’unica a lasciarmi un ricordo più vivido. Sul fronte del gameplay, ho apprezzato le novità, ma la maggior parte degli enigmi mi è parsa eccessivamente semplice, mentre il movimento di Guybrush si è rivelato talmente lento da rendermi impaziente. Ma è soprattutto l’aspetto tecnico ad aver frenato il mio entusiasmo: lo stile di disegno dei personaggi non mi ha convinto, le animazioni mi sono sembrate poco curate e la colonna sonora non è riuscita a distinguersi. Il doppiaggio italiano, poi, è stato la vera spina nel fianco: la recitazione di molti personaggi, compreso Guybrush, non è riuscita a coinvolgermi, e doverla ascoltare per tutta la durata del gioco mi ha reso più faticosa l’esperienza. Dunque, a parte l’umorismo, l’impressione è che questo capitolo sia un passo meno incisivo rispetto ai precedenti, penalizzato da un livello di sfida troppo basso, una storia poco ispirata e un comparto tecnico che non ha saputo catturarmi.

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