La necessità di rinnovare

Un prima e un dopo Monkey Island

Nel panorama videoludico dei primi anni ‘90, l’avventura grafica stava raggiungendo una certa popolarità, ma soffriva di diversi problemi ereditati dai giochi testuali. Prima dell’uscita di The Secret of Monkey Island (1990), infatti, la maggior parte delle avventure era a riga di comando, costringendo il giocatore a digitare le azioni da compiere e incorrendo così in errori di battitura o verbi non riconosciuti. Inoltre, capitava frequentemente di trovarsi in situazioni di dead end, dovute a bug o scelte di game design poco attente, che obbligavano a riavviare il gioco o ricaricare un salvataggio più vecchio.

Attorno al 1988-1989, le avventure grafiche si riempivano di “azioni pericolose”: semplici interazioni o risposte durante i dialoghi potevano portare alla morte del personaggio, spesso in modo inaspettato, con il solo scopo di allungare artificialmente l’esperienza di gioco. A questo si aggiungevano problemi di oggetti mancanti o non più accessibili, che bloccavano la progressione a causa di un design mal calibrato. Questi elementi iniziarono a stancare i giocatori, e qualcuno alla Lucasfilm Games (poi LucasArts) se ne accorse: il game designer Ron Gilbert.

Il lavoro di Ron Gilbert

La prima mossa di Gilbert verso una rivoluzione del genere fu Maniac Mansion (1987), per il quale venne creato lo SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion). Questo nuovo motore si presentava come una lista di verbi cliccabili, eliminando il rischio di errore di battitura e rendendo le azioni più immediate. Maniac Mansion fu un primo passo fondamentale: forniva un sistema di interazione più fluido e piacevole, riducendo la frustrazione del giocatore.

Ron voleva sdoganare quegli elementi fastidiosi che ormai contraddistinguevano le avventure grafiche, come diceva in un suo articolo del 1989 “Why Adventure Games Sucks” dove criticava anche una certa ripetitività dei setting narrativi, primo fra tutti il fantasy. Si fece ispirare così dall’attrazione Disney Pirati dei Caraibi e dal romanzo On Stranger Tides sviluppando la storia del primo capitolo di Monkey Island.

L’isola di Mêlée fu parzialmente ispirata a un paesino della Baviera, mentre l’umorismo divenne il fulcro dell’esperienza di gioco. Fu così che nacque il goffo aspirante pirata Guybrush Threepwood, chiamato così perché in Dpaint lo sprite del personaggio era inizialmente chiamato guy, e la sua estensione di file era .brush, guy.brush=Guybrush. Threepwood invece fu scelto perché difficile da pronunciare, ispirandosi ad uno dei personaggi dell’umorista inglese P. G. Wodehouse.

La svolta definitiva

Con The Secret of Monkey Island (1990), lo SCUMM venne ulteriormente perfezionato: si ridussero i verbi superflui a soli nove, in un’interfaccia pulita e intuitiva. Ma la vera rivoluzione stava nel rendere impossibile la sconfitta definitiva: i giocatori potevano esplorare liberamente, interagire con il mondo e sperimentare senza il timore di incappare in un game over. Anche la gestione degli oggetti fu curata per evitare i temuti dead end, garantendo così un’esperienza fluida. Fu un netto contrasto con le avventure Sierra dell’epoca, che spesso punivano il giocatore con morti improvvise e situazioni senza via di uscita.

Questo mix di comicità travolgente, interfaccia semplificata e totale libertà di azione, unito a un’ambientazione piratesca affascinante e a una colonna sonora memorabile, rese The Secret of Monkey Island (1990) una pietra miliare del genere. Ron Gilbert, Tim Schafer e Dave Grossman – insieme alle musiche di Michael Land – segnarono un momento storico nell’industria, trasformando per sempre le avventure grafiche. Da lì in poi, tutti i giochi del genere avrebbero dovuto fare i conti con la “formula Monkey Island”, inevitabilmente influenzati dalla sua genialità e dal suo humor rivoluzionario.

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