I fisici hanno conosciuto il peccato

L’origine dell’era atomica

Il 16 luglio 1945, durante il test “Trinity” ad Alamogordo, Nuovo Messico, gli Stati Uniti fecero esplodere la prima bomba atomica della storia, nome in codice “The Gadget”. Meno di un mese più tardi, il 6 agosto 1945, la bomba “Little Boy” fu sganciata a circa 600 metri di altitudine su Hiroshima. Tre giorni dopo, con il nome in codice “Fat Man”, esplode la terza bomba del Progetto Manhattan nei cieli di Nagasaki, ponendo fine alla Seconda Guerra Mondiale. Oppenheimer, in un discorso al MIT nel 1947, commenterà così queste azioni:

…i fisici hanno conosciuto il peccato, e questa è una ‎conoscenza‎ che non possono più perdere.

Con potenze rispettivamente di 15 e 21 chilotoni, gli ordigni sganciati sulle città giapponesi sono gli unici mai utilizzati in guerra, provocando tra 130mila e 250mila vittime. Da quel momento il mondo entrò nell’era atomica, segnando profondi cambiamenti nei rapporti internazionali, nello sviluppo tecnologico e nel pensiero sociopolitico.

La corsa agli armamenti

Dopo il primo test nucleare sovietico nel 1949, iniziò la corsa all’armamento atomico, e per la prima volta le lancette del “Doomsday Clock” vennero spostate in avanti. La bomba termonucleare (o bomba H) fu il successivo passo evolutivo: il 1º marzo 1954, durante il test “Castle Bravo”, gli Stati Uniti fecero esplodere un ordigno da 15 megatoni, 714 volte più potente di “Fat Man” e 1000 volte “Little Boy”. Nonostante fosse considerato un test “fallito” (l’esplosione superò di quasi tre volte la potenza prevista, causando danni anche nelle zone limitrofe), rimane tuttora l’arma nucleare più potente mai testata dagli Stati Uniti.

Nel 1958 prese vita la Campagna per il Disarmo Nucleare, movimento simboleggiato dall’attuale simbolo della pace, che unisce in alfabeto semaforico le lettere N e D (Nuclear Disarmament). Sebbene aumentassero le paure dell’opinione pubblica e si diffondesse la teoria della “Mutua Distruzione Assicurata” (MAD), i test proseguirono. Nel 1961 l’Unione Sovietica fece esplodere la “Bomba Zar” (50 megatoni) in un test nell’arcipelago Novaja Zemlja, tuttora l’ordigno termonucleare più potente della storia, ben oltre 3000 volte la potenza di “Little Boy”.

Disarmo e trattati internazionali

Negli anni successivi, diversi Stati condussero test di minore entità, finché il 1° luglio 1968 fu firmato il Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), inizialmente sottoscritto da Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica, cui si aggiunsero successivamente Francia e Cina. È diventato col tempo il trattato più firmato al mondo, con un’unica eccezione per India, Israele, Pakistan e Sudan del Sud, che non vi hanno mai aderito, e la Corea del Nord, che se ne è ritirata nel 2003.

Secondo i dati di ICAN, dal 1945 a oggi sono stati effettuati complessivamente almeno 2.056 test nucleari in tutto il mondo, e le testate note sul pianeta al 2024 sono circa 13.000, con Stati Uniti e Russia che ne detengono quasi il 90%, seguite da Cina, Francia e Regno Unito. Il 22 gennaio 2021 è entrato in vigore il “Trattato per la proibizione delle armi nucleari” (TPNW), legalmente vincolante per la messa al bando di tali ordigni. Aperto alle firme dal 20 settembre 2017, è entrato in vigore dopo la firma del 50esimo stato, ed attualmente conta 94 Stati aderenti, ma nessun membro della NATO o delle potenze nucleari ha firmato l’accordo.

Deterrenza e rischio di guerra nucleare

Oggi il quadro internazionale appare meno stabile rispetto al passato, segnato da rinnovate tensioni geopolitiche e da un incremento delle testate nucleari pronte all’uso. Sebbene in passato si sia registrata una lenta ma costante riduzione degli arsenali, la minaccia nucleare resta concreta, alimentata dalla dottrina della distruzione reciproca assicurata (MAD). Anche il lancio di un singolo missile potrebbe innescare un’escalation incontrollata, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per l’intero pianeta.

Tuttavia, uno scenario simile a quello rappresentato in Wasteland, in cui Stati Uniti e Russia si scambiano un massiccio attacco nucleare, è considerato altamente improbabile. Secondo la FEMA, nel caso di una possibile risposta americana a un attacco nucleare, la Russia procederebbe prima all’evacuazione delle principali città, le più grandi e popolose, per ridurre al minimo le perdite umane.

Un’operazione di tale portata richiederebbe dai due ai cinque giorni e verrebbe immediatamente rilevata dai sistemi di intelligence statunitensi, i quali la interpreterebbero come un chiaro segnale di un attacco imminente. A ciò si aggiunge la consapevolezza, sebbene non ancora pienamente definita nei dettagli, dei gravissimi rischi non solo a breve, ma soprattutto a lungo termine derivanti da un conflitto nucleare, con conseguenze incontrollabili che colpirebbero indistintamente ogni parte del pianeta.

Conseguenze devastanti

Uno studio del Journal of Geophysical Research: Atmospheres prevede che, in un ipotetico conflitto tra Russia e Stati Uniti, fino a 150 megatonnellate di cenere radioattiva finirebbero nell’atmosfera, riflettendo la luce solare per almeno un decennio, riducendo le temperature di 9°C e le precipitazioni del 30%, portando al collasso delle colture globali. Una rappresentazione di quello che convenzionalmente viene chiamato “inverno nucleare”.

In realtà non è necessario un intero scontro nucleare tra superpotenze per generare danni al pianeta. Secondo Jonas Jägermeyr, un post dottorando presso l’Istituto Goddard per gli studi spaziali della NASA, basterebbe la detonazione dell’ 1% dell’arsenale mondiale (circa 50 testate da “appena” 16 Chilotoni) per causare immensi danni allo strato dell’ozono. Si verificherebbe un aumento massiccio del passaggio di ultravioletti, causando inabilitazione immediata, scottature nelle zone temperate e cecità da neve nei paesi settentrionali, oltre ad aggravare ed accentuare i cambiamenti climatici mondiali.

Tutto questo, senza tener conto delle vittime portate dall’immediata doccia radioattiva che causerebbe un esplosione termonucleare nel raggio di chilometri e l’inevitabile ricaduta radioattiva, quella che viene chiamata “fallout”. Una singolo ordigno da 1 megatone, fatto esplodere al suolo, solleverebbe tonnellate di polvere radioattiva fino alla stratosfera, a cui seguirà la lentissima ricaduta in un’area estremamente estesa a causa dei venti, arrivando a generare danni irreversibili, mutazioni e persino la morte. In uno scenario del genere, la vera minaccia non è tanto la volontà deliberata di iniziare una guerra nucleare, quanto un eventuale errore umano o informatico nei sistemi di difesa.

Gli effetti sociali

In Wasteland (1988), l’idea è che USA e URSS si scambino i propri arsenali nucleari, senza tener conto delle altre potenze nucleari. Inoltre punta molto su un forte effetto serra piuttosto che un vero e proprio inverno nucleare. Tuttavia, le conseguenze derivanti dal collasso della società appaiono plausibili, poiché quello che definiamo “collante sociale” è, per sua natura, efficiente ma impersonale. L’individuo, infatti, assume un ruolo sociale che spesso cela la propria personalità, accettando nel contempo che anche gli altri facciano lo stesso, rivelando la propria autenticità solo agli intimi. Questo meccanismo consente di soddisfare in modo funzionale i bisogni della collettività senza la necessità di instaurare legami profondamente personali.

In uno scenario di guerra nucleare, tuttavia, questo fragile equilibrio si sgretola rapidamente sotto la pressione dell’emergenza globale. Le priorità individuali prevalgono su quelle della comunità. Mentre in caso di disastri localizzati si assiste spesso a una forte identificazione con la propria comunità e a un impulso collettivo di solidarietà e aiuto, un evento catastrofico su scala mondiale genera una sospensione, anche solo temporanea, dell’ordine sociale che sostiene l’assistenza e il supporto reciproco.

Di fronte al crollo delle istituzioni e all’assenza di un’autorità capace di far rispettare le leggi, ciò che oggi consideriamo moralmente inaccettabile e socialmente aberrante – come la schiavitù, lo stupro, l’omicidio o il saccheggio – potrebbe rapidamente diffondersi, spinto dalla certezza che non esistono più regole né punizioni.

Eppure, se una parte dell’umanità si lascerà travolgere dal lato più oscuro della propria natura, vi sarà anche chi, animato dalla speranza di una rinascita e dalla convinzione che nell’ordine risiedano crescita e protezione, si impegnerà a ricostruire. Nasceranno comunità, società e forze armate dedite alla difesa dei più deboli, proprio come accade in Wasteland, dove viene istituito il corpo dei Desert Rangers.

Concludo ricollegandomi alle parole di Oppenheimer, che durante il test Trinity citò un passo del Bhagavadgītā che risuona ancora oggi come monito:

Sono diventato Morte, il distruttore di mondi.

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